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numero collana


“Secondo te di che colore è la mia anima?”
Lui le sorrise, non si aspettava quella domanda. La guardò dritto negli occhi, come a cercarvi la risposta.
“Rossa, come il fuoco. Ma attenta, il fuoco può scaldare oppure bruciare”.

maggio 2024

282

978-88-6810-550-1 

17,00

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Sinossi

Anna, giovane investigatrice privata, rientra a Bologna dopo esserne fuggita a causa di un evento traumatico. Marco, ispettore di polizia, cerca di sopravvivere a un matrimonio finito. Anna e Marco, due vite allo sbando e l'omicidio di una donna che nessuno avrebbe voluto morta. Una difficile indagine che si snoda tra strade nobiliari e vicoli insidiosi, dove una minaccia impalpabile e sfuggente pare essere costantemente in agguato, in una Bologna rosso fuoco che può essere allo stesso tempo ventre materno e labirinto inestricabile. Ci si può salvare dal proprio passato, quando viene a cercarti?

L'autore

Primo capitolo

I.1

Martedì 17 settembre 2019
L’uomo percorreva silenzioso via dell’Inferno, in pieno centro di Bologna, non lontano dalle Due Torri. Un tempo quella strada era appartenuta al cosiddetto ghetto ebraico. Si interrogò sull’origine del suo strano nome, ma non conosceva la risposta; forse aveva a che fare con il destino che lo attendeva. Attraversò un angusto passaggio celato da un arco e si ritrovò in piazza San Martino; l’improvviso allargarsi dello spazio intorno a lui gli diede un inconscio senso di conforto.
L’indirizzo di via Oberdan che stava cercando era ormai vicino. Si fermò di fronte al citofono e lesse la scritta riportata sulla targhetta: “Dottoressa Anna Merisi - Investigatrice Privata”. Esitò un attimo, il dito sospeso sul pulsante, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta. La risposta non arrivò, così si decise a suonare. Il portone si aprì quasi all’istante, l’androne del vecchio palazzo lo inghiottì e la ripida scalinata lo trascinò su fino alla sua destinazione. La porta era già aperta in sua attesa.
— Permesso? — chiese, con un’imbarazzata cortesia.
— Prego, si accomodi — gli rispose la voce di una giovane donna. — E chiuda la porta, per favore.
L’investigatrice era seduta alla scrivania del suo piccolo ufficio. L’uomo che vide entrare nella stanza era sulla quarantina. Alto e ben vestito, aveva il portamento di chi nella vita è abituato a ottenere il meglio che si possa desiderare; eppure, una leggera nota d’incertezza sembrava turbare quell’assieme altrimenti impeccabile.
— Piacere, Anna Merisi — si presentò, alzandosi e porgendogli la mano. — Lei è il dottor Bonetti, suppongo.
— Sì. Le ho telefonato stamattina — confermò lui, stringendogliela. — Grazie per avermi ricevuto così in fretta.
— Mi è parso di capire che si tratta di una questione molto urgente.
Bonetti non aveva fornito molti dettagli al telefono, dicendo che preferiva parlarne di persona. Però, dalla sua ansia, Anna aveva colto che si trattava di qualcosa di più importante del suo solito lavoro di routine. Era tornata a Bologna da pochi mesi e, da quando aveva aperto l’ufficio di investigazioni, le erano capitati perlopiù casi di persone da rintracciare o di amanti da smascherare. In ogni caso, di clienti ne aveva pochi e riusciva a sbrigare tutto da sola.
— In effetti, sì — rispose, accomodandosi sulla sedia che gli veniva offerta. Lei tornò a sedersi all’altro capo della scrivania, il block-notes già aperto, pronta a prendere appunti.
Bonetti si guardò intorno incerto, l’ufficio non era come l’aveva immaginato; nemmeno la sua interlocutrice, a dire il vero. Lei aspettò senza dare segni di impazienza.
— Insomma, per farla breve… — iniziò esitante, — una settimana fa mia moglie è stata assassinata.
— Oh, mi spiace — intervenne lei. Si aspettava qualcosa di grave, ma non fino a questo punto. — Mi racconti cosa è successo.
Lui parve quasi sollevato per essersi tolto il peso di quella dichiarazione iniziale.
— Io ero fuori per lavoro. Mi capita spesso — aggiunse, fornendo una giustificazione che nessuno gli aveva richiesto. — Quando sono rientrato a casa, la sera, l’ho trovata distesa a terra, immersa nel sangue. È stato terribile… — concluse, mettendosi scenicamente le mani nei capelli.
— Dava ancora segni di vita quando l’ha trovata?
— No, nessuno. Era lì immobile, ho provato a scuoterla, ma non reagiva; allora ho pensato subito al peggio.
— Ha provato a chiamare qualcuno?
— Ho chiamato il 118, anche se non avevo molte speranze. Sono arrivati in fretta, purtroppo hanno confermato quello che temevo. Poi mi hanno detto di non toccare nulla e che era necessario chiamare la polizia.
— La causa della morte è stata accertata?
— Sì. Aveva numerose ferite da arma da taglio. Sicuramente inferte da un aggressore — si affrettò a precisare.
— L’arma era ancora lì?
— No, non c’era. La polizia ritiene si tratti di un pugnale o qualcosa di simile.
— Dove l’ha trovata, esattamente?
— Riversa sul pavimento, all’ingresso di casa.
— Cosa indossava?
— Una vestaglia. Nient’altro.— La precisazione sembrava un po’ troppo marcata per non sottintendere altro.
— Vuol dire senza nient’altro sotto? Non aveva biancheria intima addosso?
— Esatto — confermò lui.
Anna si annotò mentalmente il dettaglio. Poteva non esserci in generale niente di strano, ma a quanto pare per il marito era importante. Decise di non insistere per il momento.
— Ha notato qualcos’altro?
— Che intende? — chiese lui.
— Qualcos’altro di insolito, di fuori posto. C’era disordine in casa? Oggetti sparsi? Segni di una rapina, ad esempio. La porta era stata forzata?
— No, non era forzata. E non c’era nulla fuori posto o in disordine.
— Ha avuto modo di controllare se in casa manca qualcosa?
— Sì, non manca nulla.
— Qualcun altro ha le chiavi di casa? Un parente, un addetto alle pulizie, ad esempio.
— No, nessuno. Solo io e mia moglie.
Anna raccolse un attimo le idee. Nessuno scasso, niente fuori posto, nessuna anomalia; tranne una donna con indosso solo una vestaglia, pugnalata più di una volta e immersa nel suo sangue. Tutto conduceva a una sola conclusione: un delitto passionale, commesso da qualcuno che la donna conosceva, al punto da lasciarlo entrare in casa mentre era da sola e per di più in abbigliamento parecchio informale.
— Posso chiederle a che conclusioni è arrivata la polizia? — domandò, presagendo la risposta.
— Sospettano che mia moglie avesse un amante. E che questi l’abbia uccisa.
— E lei? Lo ritiene plausibile? Scusi se sono franca, ma vorrei sapere cosa ne pensa.
— Nessun problema — rispose lui senza esitazioni. — Personalmente faccio fatica a crederlo. Mia moglie era una persona tranquilla, non so se mi spiego. Un’insegnante di liceo, dedita alla casa e al lavoro. Non ho mai minimamente sospettato che le interessasse qualcun altro.
— Avete figli?
— No, nessuno. — Fece una pausa, poi proseguì. — Non sono arrivati.
— Mi pare di aver capito che lei fosse spesso fuori casa per lavoro. Sua moglie aveva amici, o amiche, che frequentava? Aveva degli interessi, dei passatempi?
— Faceva parte di un’associazione che si occupa di beneficenza. E frequentava una palestra. Tutto qui.
Anna soppesò per un momento il suo interlocutore. O non le aveva detto tutto, oppure nella vita di sua moglie doveva esserci qualcosa di cui suo marito era totalmente all’oscuro.
— La polizia ha già qualche sospettato?
— Nessuno, che io sappia.
— Quindi lei non è soddisfatto delle loro conclusioni? Cosa si aspetta da me?
Lui sembrava esitare, forse incerto su quale fosse la risposta più diplomatica.
— Be’, diciamo che non sono del tutto convinto della tesi dell’amante. E comunque, ipotizzando pure che esista, non l’hanno ancora trovato. Vorrei sapere se è vero. E se così fosse, vorrei che lei trovasse questo farabutto.
Anna sapeva quale fosse la prossima domanda e ne temeva la risposta; non poteva però esimersi dal farla.
— Cosa le fa pensare che io possa avere maggiori possibilità della polizia?
Stavolta Bonetti parve decisamente in imbarazzo. Lo sollecitò con lo sguardo e finalmente lui si decise a parlare.
— Ecco, io pensavo, visto che lei è la figlia del questore, magari…
Assolutamente prevedibile. L’aveva temuto fin da quando lui aveva parlato di omicidio. Ciò nonostante, la sua reazione suonò decisa e seccata.
— Guardi, io e mio padre non ci sentiamo da parecchi anni. Se si è rivolto a me pensando di avere una corsia preferenziale per le indagini, si è sbagliato di grosso.
— No, io, ehm … non volevo dire questo… — tentò di scusarsi.
— Dottor Bonetti, non perdiamo tempo entrambi. Se vuole, può andare via anche subito. E non si preoccupi, non le addebiterò nulla.
Lui si rese definitivamente conto che proprio nulla era come aveva immaginato, nemmeno quest’ultimo decisivo particolare. Eppure, esitava ad alzarsi.
— Allora? — lo incalzò, decisa a sbarazzarsi quanto prima della sua presenza. Ma la sua reazione non fu quella che lei prevedeva.
— Mi scusi, non volevo mancarle di rispetto. Vorrei davvero capire qualcosa di tutta questa faccenda. Se mi facesse la cortesia di farmi avere un suo preventivo, avrei piacere di ingaggiarla per condurre le indagini del caso.
Anna lo squadrò, cercando di soppesare fino in fondo le sue reali intenzioni, senza peraltro riuscirci. Le rimaneva una sola cosa da fare: sparare un preventivo decisamente alto, in modo da valutare quanto quel cliente avesse davvero voglia di ingaggiarla. Dopotutto, se avesse accettato, i soldi le avrebbero fatto comodo; se invece fosse scappato a gambe levate, se lo sarebbe tolto comunque di torno.
— Bene, le farò avere il mio preventivo — concluse.
— La ringrazio — rispose lui, apparentemente sollevato.
— Ancora un paio di domande. Lei di cosa si occupa?
— Sono un dirigente della Bergen. È un’importante multinazionale che produce componentistica per le macchine agricole.
— Sua moglie invece, in che liceo insegnava?
— Il Galvani. — Anna lo conosceva bene, non ebbe necessità di chiedere altro.
— Se lei accetterà il mio preventivo, avrò bisogno di alcune cose. Primo, dovrò contattare la persona della polizia che segue il caso. Come si chiama?
— Ispettore Fabbri. Le darò il suo numero.
— Secondo, dovrò fare un giro in casa sua. So che è passata ormai una settimana, ma vorrei rendermi conto di persona della scena del crimine.
— Nessun problema, mi faccia sapere quando vuole passare.
— Terzo, mi farebbe comodo avere nomi e indirizzi dei posti che frequentava sua moglie. Mi diceva dell’associazione e della palestra.
— Le farò avere quello che ho. Altro?
— Solo le generalità sue e di sua moglie. Dati anagrafici, insomma. Nient’altro per il momento. Da parte mia, le manderò il contratto, così avrà modo di verificarne le clausole; dovrà restituirmelo firmato per accettazione.
— Le farò avere tutto quello che le occorre — disse lui alzandosi.
Anna si annotò il suo recapito e i suoi contatti, quindi lo accompagnò alla porta. Quell’uomo per qualche motivo non le piaceva. Ma dopotutto era pur sempre un cliente, soprattutto se disposto a pagare bene.

Non aspettava altri clienti per quel giorno. Le giornate si stavano accorciando, ma c’era ancora luce fuori. Lasciò la stanza che usava per il lavoro e si diresse al piano superiore dell’appartamento. Entrò nell’unica stanza presente, che le faceva anche da camera da letto; si cambiò, indossando i pantaloni di una tuta e completando la tenuta sportiva con una canotta e un paio di scarpe da ginnastica. Dal soffitto della camera penzolava un sacco da pugilato, che pareva aspettarla pazientemente. Infilò i suoi vecchi guantoni sdruciti e cominciò a colpire il sacco con pugni e calci, cercando di seguire gli insegnamenti dell’istruttore della palestra che frequentava. Ma, come tutte le volte, era Banner che emergeva dalla sua memoria e le avvelenava i pensieri.
— Questo gioco non fa per te, ragazzina — le diceva calmo l’uomo dalla corporatura massiccia, irridendola con il suo ghigno sarcastico, mentre lei giaceva al suolo, atterrata dal suo avversario. Anna non ne voleva sapere di mollare. Si rialzò e si avventò nuovamente contro Banner, nonostante lui la sopravanzasse di almeno dieci centimetri. I suoi colpi andavano incessantemente dal sacco all’uomo, in una danza furiosa tra presente e passato.
Non riuscì a sconfiggere nessuno dei due. Aveva completamente perso la cognizione del tempo. Era stanca, il sudore le imperlava la fronte e le correva sotto la canotta. Si fermò, ansimando e sbuffando, lo sguardo ancora rivolto al sacco, che restava lì appeso con aria di sfida. Si liberò degli indumenti madidi e si infilò nel bagno. Accese la radio ed entrò nella doccia; l’acqua colò benefica e ristoratrice sul suo corpo spossato.
Alla radio passavano My Immortal degli Evanescence. Guardò in basso, verso la lunga cicatrice che le percorreva la coscia sinistra, risalendo dal ginocchio fino all’anca.
“Sono così stanca di stare qui, oppressa da tutte le mie paure infantili“, cantava la voce proveniente dalla radio.
Aveva quindici anni il giorno dell’incidente. Era seduta dietro, mentre i suoi genitori occupavano i sedili anteriori dell’auto.
“E se devi andartene, vorrei che te ne andassi e basta. Perché la tua presenza indugia ancora qui e non mi lascerà da sola”.
Sentì il rumore devastante dell’impatto dell’altra vettura contro la fiancata della loro auto, le urla confuse, gli schizzi di sangue. Poi solo il dolore, intenso e crudele.
“Queste ferite non sembrano guarire, questo dolore è troppo reale... “.
Le gocce d’acqua della doccia scorrevano lungo il suo viso contratto; sembravano lacrime, ma non lo erano. Quelle non c’erano mai state, né allora né ora.
“…c’è troppo che il tempo non può cancellare”.
I chirurghi erano riusciti a rimetterle a posto la gamba. Ma la prima volta che Anna vide la cicatrice, si convinse che le avessero cucito dentro una Bestia, che le divorava ferocemente le carni dall’interno. La cicatrice stessa era il segno delle zanne della Bestia.
Sapeva come uscirne. Si impose di respirare lentamente. Un po’ alla volta le immagini del passato svanirono e lasciarono il posto alla realtà. Succedeva così tutte le volte; ma, ogni volta, i ricordi l’assalivano a tradimento, senza lasciarle il tempo di prepararsi ad affrontarli. Era sempre sola e indifesa, quando la Bestia decideva di attaccare.