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numero collana


Pattumiera scattò in avanti, annaspando come se gli mancasse l’aria. Fatto qualche pesante passo e afferrò la balaustra in ferro che lo separava dal mare. La strinse. Ora sapeva tutto. Sapeva ogni cosa.

2024

304

978-88-6810-590-7

14,00

Non ancora


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Sinossi

A Genova è esplosa l’estate. Un’estate torrida dall’umidità massacrante, che non fa sconti a nessuno. Orazio Fulgenzi detto ‘Pattumiera’, investigatore borderline cacciato dalla polizia, nutre il recondito sogno di essere riammesso nel Corpo. Anche per questo mantiene rapporti contraddittori e ambigui con il fratello gemello, ‘Lo Splendido’, che in Polizia ci è rimasto col ruolo da commissario. Nel corso della sua seconda avventura, Pattumiera dovrà fronteggiare diversi tragici casi… ben presto l’indolenza dettata dal caldo delirante verrà spezzata dall’omicidio di un tassista. Forse un predatore incombe sulla città? Un malinteso affetto, può trasfigurarsi in un delirio di onnipotenza? Ma si tratta di diversi casi, o di uno solo? Quale o quali figure sovrastano minacciose l’estate dei genovesi? Fino a che punto è lecito spostare il confine tra il bene e il male? Ad accompagnare Pattumiera nell’indagine personaggi eccentrici come il protagonista: ‘il filosofo’, l’unico senzatetto che rilascia la ricevuta per i propri consigli; zia Tina che passa le giornate riguardando vecchi incontri di boxe in bianco e nero; l’assistente Ilario, magro come un’acciuga; la moglie Eleonora, ex miss muretto 2006; Cornelia De Cubitis, dirimpettaia della casa di fronte, 130 chili di peso mal distribuiti, sogno erotico del Nostro protagonista.

L'autore

Primo capitolo

— Perché li sento io, col mestiere che faccio. Li porto in giro e li sento tutti i giorni.
Tutti, calcando la voce sull’ultima parola il tassista, come un anchor-man di consumato mestiere, fa una breve pausa sprofondando soddisfatto la schiena nel sedile della sua auto. Talvolta ascolta quella rubrica alla radio, la mattina, prima di scivolare nella colonna gialla dei taxi prendendo servizio. Prima Pagina. Subito leggono le pagine dei quotidiani, poi aprono il filo diretto con i radioascoltatori commentando le notizie di attualità. Come sempre, non c’è nulla di più attuale della crisi economica. La crisi del semestre, la crisi del decennio, la crisi del secolo. Comunque la si voglia definire: la crisi perenne del Bel Paese che spinge la gente a stringere di un foro la cinghia, a cercare lavoro fuori dall’Italia, a limitare i consumi e a dimezzare le vacanze.
— Si lamentano. Tutti quanti. Il costo della vita è troppo alto, dicono, e gli stipendi troppo bassi — l’uomo accarezza l’asta delle marce, come uno scettro. Sta andando bene. — L’euro ci ha impoverito tutti, dicono. Tasse, burocrazia, disservizi: lo Stato prende e non da nulla in cambio. Genova, poi, è una delle città dove la crisi ha colpito maggiormente. Non ce la fanno più. E la sa una cosa? — fa seguire un’altra consumata pausa. Sorseggiando il caffè quella mattina si era detto: oggi telefono anch’io. Diamine, se telefono. Glielo canto io, come stanno le cose.
— Hanno ragione — dice il tassista — glielo dice Pietro Villari: hanno ragione da vendere.
A quel punto la rubrica presupporrebbe uno scambio di battute, prima del suo commento. Ma lui è soddisfatto. Si congeda dal conduttore, a metà del commento spegne la radio. Fischiettando un’aria della Bohème si immette nella corsia gialla iniziando il servizio. A quel punto, anche se il tassista non lo sa, è un uomo morto.

Apre la porta facendo accomodare il passeggero sui sedili posteriori. Recepisce l’indirizzo con un breve cenno del capo. Con calcolata professionalità sistema il deflettore prima di partire, conclude l’operazione schiarendo la voce. L’uomo dietro, indifferente al caldo estivo, indossa un completo grigio con cravatta, occhiali scuri e ventiquattrore. Un uomo importante, riflette il tassista desideroso di trasmettere un tono di professionalità. Si immette nel traffico. A Genova il traffico esiste sempre, ma d’estate di più, d’estate si accanisce, in particolare in quella estate appena cominciata e già torrida: come volesse farti scontare il mare della domenica. Come l’umidità che ti si appiccica addosso come colla: ma per quella rimedia l’aria condizionata. Per ingannare il traffico vorrebbe iniziare una conversazione, è la tattica che usa per evitare che i clienti sbuffino. Sul taxi di Pietro Villari nessuno ha mai sbuffato, o quasi nessuno. Però è incerto: il cliente è di quelli importanti: distinto, serio, silenzioso. L’indirizzo che gli ha dato è una via del quartiere di Albaro un poco appartata, non ci sono banche, né assicurazioni o altri enti importanti. Destinazioni, di solito, di uomini di quel genere. In ogni caso, teme di disturbarlo con le sue chiacchiere. Poi, l’uomo dietro apre il giornale e comincia a leggere. Pietro Villari, che un paio d’ore fa ha chiarito le idee al conduttore di Prima Pagina, non riesce a resistere.
— Forse è meglio non leggere le notizie, con tutti i problemi di oggi. Non ci si tira certo su il morale — l’uomo alza lo sguardo. Da dietro gli occhiali scuri, abbozza un’enigmatica linea di sorriso.
— Lei dice? — esclama con una voce asciutta. Per lui è un lasciapassare in piena regola.
— Guardi, sopra questo taxi sale un’infinità di gente. Di gente normale — calca l’accento su normale, lasciando intendere che di certo non lo ricomprende nella categoria — mi chiarisco le idee più ad ascoltarli che a seguire un telegiornale. Spesso mi parlano dei loro problemi e delle loro difficoltà: sa, il tassista è una professione a metà strada tra il confessore e l’analista — l’uomo dietro annuisce brevemente, lasciando praterie alle sue valutazioni. — La gente non ce la fa più. I prezzi, dall’euro in avanti, sono saliti alle stelle. Per far fronte alle spese quotidiane, la gente sta erodendo quel poco di capitale messo da parte — sorpassa un collega, lo saluta con un cenno della mano. Poco più avanti si ferma al rosso. Confidenzialmente, accenna a voltarsi. — La burocrazia, poi, ha messo in ginocchio questo paese. Aprire una qualsiasi attività risulta impossibile. E la disoccupazione giovanile è alle stelle.
Pietro Villari cambia corsia, svolta a destra. Il traffico risulta adesso più scorrevole. Tra un paio di minuti svolterà a sinistra e si inoltrerà a destinazione. Nel deflettore vede che il cliente mantiene quella sardonica linea di sorriso. Continua.
— Per tacer delle tasse: l’autentica rovina nazionale. Per ogni euro guadagnato, bisogna versarne uno di tasse. Un macello.
— Già. Un’interessante analisi del quotidiano — conviene l’uomo guardando dal finestrino. Il tassista davanti gongola soddisfatto. Dopo la telefonata alla radio, oggi è la seconda soddisfazione che si prende. Qualcosa gli dice che non sarà l’ultima. L’uomo apre la ventiquattrore e ripiega con cura il quotidiano.
— Un’interessante analisi che tuttavia esclude un importante fattore: quello che ognuno di noi fa, per uscire da questo stato di cose. Per uscire dalla crisi. — Lui è colpito: in genere i clienti abbozzano senza controbattere. Si vede che questo è un uomo di un altro tenore. Non gli si è rivolto direttamente, tuttavia sente il bisogno di giustificarsi.
— Si lavora — afferma alzando le spalle — si dà un servizio quotidiano alla gente. È poco, ma è già qualcosa.
— Non basta — ribatte il cliente. La voce esce tagliente, stavolta. La linea di sorriso è scomparsa. Pietro Villari svolta a sinistra, è lieto che tra poco mollerà quel cliente pedante. Osserva i numeri civici, l’uomo gli dice di proseguire ancora.
— Centodieci miliardi — dice — lo sa cosa sono?
Il tassista alza le spalle.
— È la somma dell’evasione fiscale annuale in Italia: centodieci miliardi di euro tondi tondi. Lei saprà che in Italia esiste la legge di stabilità, che annualmente corregge i conti nazionali. La cosiddetta finanziaria. Mediamente si aggira sui venti, venticinque miliardi. Significa che allo Stato servono venti o venticinque miliardi di euro, ottenuti spesso eliminando servizi e assistenza, quando nello stesso anno potrebbe disporne di centodieci: solo se si decidesse a far pagare le tasse agli italiani. Questo è un altro modo, credo assai più corretto, di spiegare lo stato delle cose.
Un controllore del ministero, si dice Pietro Villari. Ecco chi ho caricato stamane: uno stramaledetto controllore delle finanze in vena di sermoni. Ancora un minuto e non gliene rimarrà nemmeno il ricordo.
— Già, le grandi aziende — concede Villari — quelle è noto che di tasse non paghino un centesimo.
— Non solo loro. Molti altri fanno la loro parte — dice l’uomo estraendo un documento dalla ventiquattrore. Legge. — Il signor Pietro Villari, ad esempio, dichiara al fisco nell’anno duemila tredici 14.500 euro, che diventano 15.200 nel duemila quattordici e scendono a 14.800 l’anno successivo — abbassa il documento — dovremmo dunque credere che un tassista a Genova campi con novecento euro al mese? Lei dovrebbe dichiarare quattro volte tanto: semplicemente perché guadagna quattro volte tanto.
Pietro Villari comincia a sudare freddo: tutto si aspettava quella mattina tranne di subire un’ispezione fiscale. Tuttavia non si lascia intimidire. Sono ormai in fondo alla via, accosta la macchina al marciapiede. Stranamente, è confortato dal fatto che in giro non ci sia nessuno.
— Ascolti bene — dice girandosi — non so chi sia lei e non ci tengo a saperlo. L’ho portata a destinazione e adesso le faccio la debita ricevuta. Per qualsiasi altro discorso, ammesso e non concesso che ne abbia l’autorità, mi faccia le sue contestazioni tramite raccomandata, e la vedremo.
L’uomo estrae dalla ventiquattrore una pistola e gliela punta contro. Pietro Villari sbianca. Spalanca la bocca scoprendo un filo di bava ai bordi.
L’uomo si china in avanti bisbigliando qualcosa. Sulle sue labbra compare di nuovo quell’enigmatica linea di sorriso.
— Non serve la ricevuta — dice prima di sparare il colpo.