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numero collana


“Olinca?”
“Fabrizio!”
“Da dove sei entrata?”
“Là in fondo c’è una porta,
ma non c’è l’interruttore
per accendere la luce.”
“Anche da dove sono entrato io è così. Il cane?”
“È là fuori.”
“Dove siamo secondo te?”
“Non ne ho la più pallida idea.”

marzo 2025

194

978-88-6810-596-9

15,00

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Sinossi

Bologna, estate 1992.
L’investigatore privato Fabrizio Bonvicini, detto Marlowe, è a corto di commissioni, quando gli viene proposta un’indagine del tutto atipica: qualcuno, negli ultimi mesi, sta rubando grossi cani di razza da alcune ville della Bologna bene. I ricchi proprietari vogliono vederci chiaro. Quello che sembra un incarico senza particolari pericoli coinvolge Bonvicini in un gioco di specchi immersi nella polvere di un passato lontano.

Gli autori

Andrea Gheduzzi

Michele Rocchetta

Prologo

Quando la nebbia è così fitta ben poche persone osano mettere il naso fuori di casa.
Sui monti del primo Appennino tosco-emiliano la chiamano la regina gelata perché, quando scende e si appoggia, ghiaccia qualsiasi cosa e non c’è dubbio: comanda lei. Il buio arriva presto la sera e al mattino se ne va tardi, ogni attività è rallentata.
Gli abitanti della montagna sono più abituati alla neve che alla nebbia; con la prima sanno come comportarsi, con la seconda invece no, la subiscono. La regina gelata non scende spesso, per fortuna, ma quando lo fa le cime più alte emergono come isole su un mare bianco che nelle notti di luna si fa argentato.
Quando arriva, con il suo manto grigio, copre ogni cosa. E gela ogni cosa.
Qualche chilometro fuori dal paese c’è una grossa quercia giapponese che, spoglia e lucente di brina, domina una piccola spianata incolta in fondo a una strada bianca; i suoi rami più alti si muovono appena, coperti di goccioline ghiacciate. In estate si riempie di foglie e ombreggia una vecchia casa contadina, ormai disabitata e per buona parte diroccata.
All’interno dell’edificio, nella grande stanza da pranzo, c’è una cucina economica, sicuramente non funzionante, un paio di mestoli sono attaccati al muro con chiodi che sorreggerebbero ben altri carichi, l’acquaio è ingombro di foglie secche entrate dalle finestre divelte.
Sul lato opposto campeggia un grande camino e, al centro dell’ambiente, un ampio tavolo di legno tarlato dalla vernice squamata.
In questa serata fredda e nebbiosa, in questo edificio abbandonato, il tavolo e il camino sembrano elementi incongruenti. Il focolare emette una calda e piacevole luce arancione; mentre il tavolo è ricoperto da una grossa tela cerata di colore verde militare.
Non sono i soli elementi fuori luogo. Un individuo incappucciato ha il braccio sinistro bloccato contro il busto e le gambe rese rigide da stecche fissate con il nastro adesivo americano.
I suoi movimenti sono ridotti da questa costrizione e la sua bocca è incapace di emettere grida o lamenti. Due giri dello stesso nastro l’hanno chiusa dolorosamente.
Respira con un ritmo affannato e veloce dettato dal terrore per una situazione che non comprende. Vorrebbe chiedere aiuto e urlare. Vorrebbe sapere perché gli sta capitando tutto questo e perché i suoi occhi non possono vedere. Non ha udito voci e potrebbe essere solo. Oppure, qualcuno, in silenzio, essere vicino a lui e questo non fa altro che accrescere la sua paura.
L’uomo impugna un bastone nodoso nella mano destra; lo stringe così forte che le nocche sono ormai sbiancate. Il suo corpo è bagnato dal sudore dell’angoscia e dalla nebbia e lui non riesce neanche più a sentire freddo.
A livello razionale si rende conto che quel bastone è del tutto inutile a difenderlo, ma comprende che, se ci fosse anche solo una lieve speranza di rimanere vivo, lo deve usare meglio possibile.
Gli giunge alle orecchie ancora quel ringhio basso e rabbioso. Nessun latrato ma una minacciosa e feroce promessa di dolore e tormento. Senza pietà e requie.
Il cane è abbastanza vicino e l’uomo ne percepisce l’odore quasi selvatico attraverso il sacco di tela che gli hanno messo in testa.
Ma la bestia non si lancia all’attacco, come se qualcuno la stesse trattenendo per prolungare l’agonia dell’incappucciato.
L’uomo è già stato morso in diversi punti, assalito a più riprese. Lui è certo di essere riuscito anche a colpire l’animale un paio di volte, ma senza ferirlo. La bestia ringhia, sommessa, in attesa di balzare per il prossimo assalto. Quando verrà il momento.
L’animale sa che sarà l’ultimo attacco. L’uomo non ha alcuna possibilità di fuggirgli.
Il guinzaglio si allenta, la bestia lo capisce e fulminea parte all’attacco, un morso potente e poi un altro se possibile ancora più feroce. Il bastone cade a terra, nessuna reazione, anche il cane ora rallenta la sua azione famelica, un comando secco e perentorio lo blocca definitivamente.