
numero collana
Avere un cuore
è una maledizione
dalla quale non si guarisce mai.

aprile 2025
220
978-88-6810-645-4
16,00
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Sinossi
Ormai ristabilitosi a Taranto, sua città natale, dopo una vita lavorativa spesa nelle questure del Nord, il vicequestore Marco Parisi è alle prese con un delitto che ha tutta l’aria di trovare una spiegazione nel penoso clima di risentimento familiare che permea i rapporti tra un padre assente affettivamente, ma fin troppo presente con il suo egocentrismo, e due fratelli troppo fragili per reggerne il peso.
E per ironia della sorte, l’arma per questo amaro delitto sarà proprio una delle pietanze più dolci che esistano: una pastiera, il tipico dolce che in quasi tutto il Sud si prepara per la Pasqua.
Per risolvere il mistero, Parisi non potrà contare, per diversi motivi, su raffinate tecniche scientifico-investigative, ma dovrà invece affidarsi alla sua conoscenza dell’animo umano e delle sue misteriose sfaccettature. A guidarlo quindi sarà la sua complessa sensibilità, unitamente a quella del suo fido, anomalo, quasi stravagante consigliere Sanna, un agente ai margini del commissariato, che si rivelerà ancora una volta a lui prezioso.
Primo capitolo
LA DOMENICA DELLE PALME
Non c’era nulla da fare
— Sei uno, sei zero… e direi che con questo vi abbiamo sistemato anche oggi.
Miriam e Marco si portarono verso la rete: anche se non erano a Wimbledon, ma in Contrada Battaglia, a un passo da Taranto, le regole del bon ton tennistico lo esigevano.
— Ci avete mazzolati come al solito — ammise con una smorfia il maresciallo Cotone. Marco rispose con un sorriso, pensando che in fondo il “cugino” carabiniere poteva comunque essere soddisfatto: stava centrando infatti il proprio importante obiettivo personale. In quell’ultimo scorcio di inverno, in cui avevano inaugurato l’abitudine del doppio domenicale, il maresciallo, un aitante ragazzone dallo sguardo sicuro e dagli occhi profondi e neri, aveva ormai fatto breccia nel cuore dell’avvenente Mariangela Troisi, sua collega, sia di doppio che di servizio, e non solo in senso tennistico: bruna, alta, napoletana, anche lei una tipica bellezza mediterranea, da sei mesi assegnata al Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Taranto.
Era palese che fra i due stesse nascendo qualcosa, che rendeva accettabili anche le scontate sconfitte domenicali. Sì perché, era davvero difficile che riuscissero a vincere, visto che dall’altra parte della rete, al fianco di Marco, c’era sempre Miriam Falcone, in gioventù “Seconda Categoria”, vera promessa del tennis pugliese, poi definitivamente immolata alla carriera in Polizia. Sostanzialmente, in campo faceva tutto lei: implacabile sotto rete, potente nel servizio, precisa da fondo campo. Marco doveva stare solo attento a fare meno danni possibili. Quando quella furia con la racchetta gli aveva proposto di farle da compagno nel doppio, aveva subito messo le mani avanti: — Guarda, io giochicchio, ma nulla di più. E poi sono fuori allenamento — aveva detto indicando il suo filo di pancetta, che per quanto trattenesse il respiro, rispuntava sempre fuori.
— Dai che stai benissimo. — gli aveva risposto con una gratificante bugia, la giovane donna.
— Negli ultimi tempi a Padova ho giocato veramente poco — si era infine giustificato.
In effetti, nel suo ultimo scorcio di vita trascorso al Nord, gli era passata la voglia di fare qualsiasi cosa, non soltanto di giocare a tennis, e non si era trattato né di nostalgia né di un problema di latitudine. Lui in Veneto ci era stato bene per anni, prima che la storia con Paola si arenasse stancamente, fino allo tsunami che li aveva travolti, spazzando via una relazione ormai prossima a tagliare il traguardo dei dieci anni.
Era successo tutto in pochi mesi, o, più probabilmente, quell’estate aveva solo ratificato la fine di un rapporto morto e sepolto da tempo. Proprio da quella tempesta era nata la scelta, per molti incomprensibile, di tornare nella sua città, Taranto, dopo anni di lusinghiero servizio oltre il Po. Anche l’ineffabile agente Sanna, quell’incredibile esemplare scovato presso la Polizia Giudiziaria di Taranto, con la passione degli acquari e il vezzo di assegnare a tutti un soprannome che avesse a che fare con la fauna marina, glielo aveva detto: — vicequestore, lei è un salmone, perché mentre tutti i meridionali vanno al Nord a lavorare, lei ha fatto il contrario tornando qui. Appunto, come i salmoni, va controcorrente.
Che personaggio incredibile. Marco aveva ancora negli occhi la scena del loro primo incontro: entrato nella sua stanza, lo aveva trovato in camice bianco e con degli strani ammennicoli in mano, intento a cambiare l’acqua di un meraviglioso acquario con dentro due magnifici Symphysodon Discus, ovvero, per i meno adusi ai nomi scientifici, Discus e basta. Non era certo una scena usuale in un ufficio della giudiziaria. Però poi l’agente Sanna, elemento ormai finito ai margini, si era rilevato meno inutile di quanto gli era stato riferito, anzi gli era stato di grande aiuto nella prima strana inchiesta con cui si era imbattuto tornato alla base.
Roba da fiction televisiva. Un’inchiesta sotto traccia, che ruotava intorno alla morte di un gatto. In quei frangenti aveva potuto avvalersi dell’intuito genuino del collega, che adesso non gli risparmiava consigli neppure in campo sentimentale.
— Dottore, si fidi di ciò che le dico, all’agente Falcone, lei piace.
— Ma se ha vent’anni anni meno di me.
— Vicequestore — aveva risposto il torello sardo, che quando voleva dare maggiore solennità alle sue affermazioni, gli si rivolgeva precisando con esattezza il grado.
— Vicequestore, prima di tutto, non esageriamo perché non ha nemmeno quindici anni meno di lei — ribadì, come se tredici, forse quattordici anni fossero stati un’inezia.
— E poi mica è la prima donna a cui piacciono gli uomini maturi.
— Ma io non sono mica un imprenditore di successo, Luigi.
È vero, non lo era, però, gli era già capitato e di recente, di accorgersi dell’interesse di donne più giovani nei suoi confronti. Gli era successo a Padova, con le conseguenze che si portava ancora dentro, e la cosa si era ripetuta anche appena giunto a Taranto, quando la biondissima Ekhaterina, nipote della corpulenta Ljudmila, prima badante di sua madre e oggi nuova compagna di vita del padre, glielo aveva dimostrato chiaramente. Forse il vintage, era di moda anche nei rapporti sentimentali. Ma lui non se l’era sentita, allora, e non solo per la differenza di età. Era ancora troppo carico di sensi di colpa per aver fatto crollare il suo mondo sentimentale, per potersi rituffare in una nuova storia. Pian piano però era ripartito, forse proprio grazie a quella prima indagine, a quella strana storia, in cui si era dovuto confrontare con il profondo senso di colpa degli altri, toccare il loro smarrimento, fino a sentirsi, finalmente, un poco più in pace con sé stesso. Quei primi tempi erano passati e stava meglio, anche se, per così dire, si sentiva ancora convalescente in campo affettivo.
Di certo, non poteva non accorgersi della simpatia che Miriam nutriva nei suoi confronti.
Altrimenti, come spiegare quel sorriso benevolo che gli riservava, incrociando il suo sguardo, ogni volta che lui ciccava puntualmente la risposta alle mazzate che Cotone tirava da fondo campo? Se non fosse stata attratta da lui, perché avrebbe accettato di formare quell’improbabile accoppiata tennistica, con lei che cantava e portava la croce?
Finita la partita, i quattro si diressero verso gli spogliatoi.
— Siamo d’accordo che domenica non si gioca, vero? — fece il maresciallo.
— E ci mancherebbe, è Pasqua. — fecero le due donne in coro.
— Però riprendiamo la domenica successiva, no? — aggiunse Mariangela, riscuotendo l’assenso di tutti gli altri. — Non possiamo mica interrompere ora che stiamo rientrando in forma.
Guardò la sua pancetta, che spingeva ancora, purtroppo, sotto la sua maglietta: ce ne voleva ancora per tornare in una forma decente.
Si separarono, ovviamente, per andare nel rispettivo spogliatoio. Marco mise piede in quello maschile, e, poggiata la borsa sulle panche, tirò fuori tutto il necessario per la doccia. Improvvisamente, alla sua mente affluirono nitide, nonostante i tanti anni trascorsi, le partite di calcetto di quando era ancora ragazzo. Era un fenomeno che gli era successo spesso, in quei primi mesi in Puglia. Ogni tanto la sua mente riapriva qualche “file” che per anni era stato placido, dormiente e dimenticato nella sua memoria, nel lungo periodo in cui tornava nella propria città solo per rapidissime incursioni, giusto per riabbracciare la madre, sempre più fragile e consumata dalla malattia. Per un attimo, in quello spogliatoio, gli parve perfino di risentire le voci e le battute, quasi sempre volgari e misogine, dei suoi amici adolescenti.
Niente abbatte le distanze fra gli uomini come la doccia dopo il calcetto, e questo strano fenomeno non cessa, nemmeno in età matura. Megadirettori, ammiragli, uomini d’affari, che prima di varcare la porta, non avrebbero degnato di uno sguardo il resto dell’umanità, lì dentro finivano a chiacchierare amabilmente, scambiando pacche fragorose sulle spalle, con quelli che per il loro peloso giudizio, erano magari gli ultimi della scala sociale. Gli argomenti erano sempre gli stessi: le donne e il calcio.
La visione del maresciallo Cotone nel suo bell’accappatoio azzurro lo ridestò da quei ricordi onirici: per fortuna, dopo le partite a tennis, mancando “l’effetto gruppo” le dinamiche umane non venivano così stravolte. Ciò non impedì però al suo rivale di doppio, nonché cugino in divisa, di passare dal riguardoso “lei” che aveva sempre fino a quel momento utilizzato, a un più confidenziale “tu”.
— Sei di servizio o sei libero oggi? — gli chiese infatti mentre cercava il phon nella sua borsa. — Dovrei andare in ufficio nel pomeriggio, se non ci sono problemi prima — rispose.
— Bella domenica delle Palme, quindi... — abbozzò l’altro. — Come ti trovi alla Giudiziaria? Superato il primo impatto?
In effetti, i primi tempi non erano stati facilissimi, proprio a causa di quella strana storia di cui si era occupato, che lo aveva portato anche a sfiorare la collisione con il suo Dirigente. Quell’indagine aveva rischiato di provocare proprio ciò che lui voleva assolutamente evitare: essere etichettato come il “rompiballe” calato dal Nord con la puzzetta sotto il naso, sicuro di poter impartire lezioncine ai colleghi di una sperduta provincia dell’impero. Inoltre in quei primi giorni sentiva sempre su di sé lo sguardo indagatore con cui i colleghi lo scrutavano, convinti, magari, che dietro quel suo strano trasferimento ci fosse qualche brutta storia, qualche scheletro nell’armadio, che giustificasse quel repentino ritorno alla base. O forse erano tutte congetture della sua mente, abituata a inerpicarsi spesso in gineprai mentali.