
numero collana
“Tutto ‘sto casino per due botti d’aceto.”
“Maresciallo, mi permetta: è Aceto Balsamico della Tradizione famigliare di Modena: c’è una bella differenza.”
“Sempre aceto è Veneruso! E non si può ammazzare per dell’aceto!”Longo aveva ruggito tutta la sua irritazione in faccia all’appuntato che, tutt’altro che intimorito, aveva replicato:
“Maresciallo, voi non siete di qui, voi non potete capire…”
AUTORI E RACCONTI
Tutti i racconti finalisti del concorso letterario L'ultima Goccia. 31 Racconti da brividi ambientati nel mondo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena in collaborazione cin GialloFestival e Associazione Esperti Degustatori ABTM
Racconti di: Ivan Andreoli, Gian Carlo Barbieri, Lucia Bollina, Marina Bonifazio, Susanna Bontempo, Marika Borghi, Carmine Caputo, Mario Ceratti, Alessandra Consolazione, Gilberto Coppi, Claudio de Leporini, Emanuele Del Freo, Natalina Fragomeni, Stefano Frigieri, Maurizio “Miro” Gatti, Marco Giorgini, Franco Giori, Maria Carolina Guidotti, Elisa Lugli, Lorena Lusetti, Andrea Mariani, Laura Mazzucato, Manuela Morganti, Davide Nani, Cassandra Nudo, Ugo D. Perugini, ntonella Riccò, Riccarda Riccò, Claudia Rinaldi, llery Sueen, Vittorio Torreggiani

marzo 2025
316
9788868105990
18,00
Si
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Un racconto...
SORELLE D’ACETO
Natalina Fragomeni
— Oh, Margherita! È bellissimo.
— Tu, sei bellissima sorellina.
La ragazza continuava a fare piroette davanti allo specchio rimirando la propria immagine nella fioca luce del lume.
— Non sapevo che nostra madre ci avesse fatto cucire i nostri vestiti da sposa prima di morire.
— Eri piccola quando la malattia se l’è portata via. Ci sono tante cose che non puoi ricordare di lei. Sarai una sposa stupenda domani.
La ragazza si fermò di colpo e abbassò lo sguardo.
— Sono un po’ preoccupata. Non ho mai incontrato questo Manfredi che dovrò sposare, ma ho sentito dire che ha fama di avere avuto tante donne. E non tutte erano delle gentildonne…
— Isabella, non dare retta alle chiacchiere della gente. Vieni qua, voglio metterti questo nastro tra i capelli. Era della mamma. Stai attenta a non perderlo.
— Sì, certo… ahi!
— Che ti succede?
— Le scarpe. Sono belle ma mi vanno un po’ strette — disse Isabella facendo un doppio nodo al nastro che la sorella le aveva messo tra i capelli. — E poi dicono anche che abbia un sacco di debiti… sembra che abbia già perso una grossa parte dei suoi terreni e…
— Non ti devi preoccupare, sorellina, né delle scarpe né di tutto il resto. Vedrai che ci sono anche vantaggi nell’essere una donna sposata.
— Mi vergogno un po’… — la ragazza abbassò la voce, — ma sono contenta di andare via da questa casa.
— E come mai? — domandò la sorella sorpresa.
— Perché penso che… che qui ci siano i fantasmi.
Margherita le accarezzò una guancia sorridendo: — Non dire sciocchezze. I fantasmi non esistono.
— Invece ti dico che esistono perché soprattutto d’inverno la notte sento degli strani rumori.
— Saranno solo dei grossi topi. Adesso vai a letto o domani ti addormenterai al tuo banchetto di nozze.
***
Jacopo non aveva sonno. Appoggiato alla finestra fissava in lontananza il profilo dolce delle colline modenesi rischiarato dalla luna piena. La casa era avvolta nel silenzio.
Si sforzò di ricordare da quanto tempo quel silenzio aveva preso il posto delle voci concitate della servitù che si muoveva per le stanze del palazzo.
Quando si era insediato come signore della casa sposando Caterina, la giovane vedova di Gioacchino da Casalgrande conosciuto e rispettato in tutta Modena per la sua acetaia, c’erano almeno mezza dozzina di servitori che si prendevano cura della casa e almeno il doppio dei cavalli che dimoravano nelle stalle.
Adesso le stalle erano vuote e in casa c’era solo lui, che non riusciva a prendere sonno, e le figlie di primo letto di Caterina.
Aveva sposato Caterina per i vigneti e gli altri possedimenti che le aveva lasciato in eredità il marito e che sperava potessero salvarlo dai numerosi debiti di gioco accumulati.
Era stato costretto a cedere i vigneti quasi subito proprio a quel Manfredi con cui domani si sarebbe imparentato quando aveva preteso indietro una grossa somma di denaro.
Un paio di anni dopo, quando Caterina si era ammalata, non gli restava più niente a parte la casa e l’acetaia, ma l’uomo che gli prestava i soldi in quel periodo non aveva nessuna intenzione di mettersi a produrre aceto invecchiato e lui, a quel tempo, non poteva permettersi di perdere la casa dove viveva con la moglie malata e le figlie.
Adesso era diverso.
Sullo scrittoio dietro di lui si stava asciugando l’inchiostro dell’atto con cui cedeva la casa a Bartolo, usuraio di professione, che negli anni lo aveva prosciugato di gran parte dei suoi beni.
Domani avrebbe saldato tutti i suoi debiti: la casa a Bartolo e Isabella a Manfredi. Maledetti!
In fondo Manfredi poteva pure giustificarlo. Avevano passato tante notti insieme a giocare e scommettere su qualsiasi cosa; lui, ricco di famiglia poteva permettersi di perdere grosse somme e gli aveva anche prestato denaro in tante occasioni. Ma alla fine lo aveva sempre preteso indietro. Così a lui erano andati i vigneti di Caterina prima e l’acetaia qualche anno dopo.
Col tempo però si era indebitato anche lui, con un signore fuori Modena che nessuno conosceva, perché a un certo punto il padre si era stancato di sovvenzionare i suoi vizi. Adesso, finalmente, sembrava che la fortuna fosse tornata a sorridergli perché il vecchio padre, sentendo forse avvicinarsi la fine dei suoi giorni, aveva deciso di tendere una mano al figlio e gli aveva proposto di saldare tutti i suoi debiti a patto che prendesse moglie e gli desse un erede entro un anno. Da qui la richiesta di sposare Isabella.
Domani sarebbe stato tutto finito e lui poteva finalmente lasciare Modena. Non aveva altra scelta.
***
Margherita si era svegliata molto presto: aveva spazzato il salone, era salita a prendere le tovaglie di lino della madre per il banchetto, poi si era cambiata nella sua stanza ed era scesa in cucina a preparare le pietanze per gli ospiti.
Più tardi l’avrebbe raggiunta Costanza, la moglie di Tommaso degl’Innocenti per darle una mano in cucina. Costanza e Tommaso oltre a essere amici dei suoi genitori erano anche il padrino e la madrina di battesimo suoi e di Isabella. Sebbene ormai anziani, erano gli unici rimasti accanto alle due ragazze dopo la morte dei genitori. Tommaso aveva un vigneto che confinava con quello che era stato del padre di Margherita e si vantava di produrre il migliore aceto balsamico invecchiato di Modena dopo la scomparsa di Gioacchino.
Gli ospiti, una decina in tutto viste le condizioni economiche di Jacopo, erano ormai arrivati tutti e avevano preso posto nel salone.
Oltre a Costanza e Tommaso degl’Innocenti, c’era Bartolo, che Margherita sapeva essere un creditore del patrigno; un cugino lontano della madre che andava a trovarli più o meno una volta l’anno e due gentiluomini che dovevano essere amici dello sposo ma che, se qualcuno li avesse incontrati fuori da lì, avrebbe certamente cambiato strada. Dovevano anche loro dei soldi a Bartolo. Margherita lo aveva scoperto mentre passava alle loro spalle con un boccale di vino.
Infine c’era lo sposo, Manfredi, che dopo essersi intrattenuto pochi minuti con Isabella, sua futura moglie, si era unito al gruppetto di Bartolo e dei due gentiluomini.
Solo Jacopo non si era ancora visto.
In un angolo, padre Gregorio camminava impaziente avanti e indietro.
— Se si potesse chiamare il signore della casa io celebrerei questo matrimonio. Mi aspettano da un’altra parte — disse ad alta voce richiamando l’attenzione su di sé.
— Vado io a cercarlo quello scansafatiche — mugugnò Bartolo allontanandosi.
Tornò poco dopo pallido come un lenzuolo.
— È morto. L’hanno ucciso nella sua stanza.
Per un momento nessuno fiatò, poi iniziarono a parlare tutti insieme in modo concitato e, senza mettersi d’accordo, si diressero verso le scale per andare a constatare di persona quanto avevano appena udito.
Solo Bartolo si sedette e si riempì una coppa di vino.
Padre Gregorio era davanti a tutti. Arrivato sulla porta della stanza si fermò: Jacopo giaceva a terra in una pozza di sangue con un pugnale conficcato nel petto.
— Nessuno deve entrare in questa stanza e dobbiamo chiamare subito le guardie. Qui è stato commesso un omicidio.
Udendo la parola guardie, i due gentiluomini decisero che era arrivato il momento di abbandonare i festeggiamenti e si allontanarono in silenzio senza che nessuno li notasse.
— Ma chi può essere stato? — domandò Costanza.
— Per me è stato Bartolo! — rispose il cugino di Caterina. — Quando è venuto a chiamarlo ne ha approfittato per ucciderlo. Lo sanno tutti che avevano litigato per un debito di gioco.
— Sì, è possibile — confermò padre Gregorio, — andiamo a interrogarlo prima che possa scappare.
Tornarono tutti nel salone ma appena entrati videro Bartolo accasciato sul tavolo e la coppa da cui aveva bevuto vino per l’ultima volta rotolata a terra. Qualcuno gli aveva stretto una cordicella intorno al collo fino a farlo smettere di respirare.
— Un altro morto! — esclamò Costanza portandosi le mani tra i capelli. — Ma chi può averlo ucciso? Eravamo tutti di sopra!
— Non proprio tutti. Dove sono quei due brutti ceffi. Anche loro dovevano un sacco di soldi a Bartolo — disse il cugino di Caterina.
— Sì, è vero. Li ho sentiti anch’io mentre lo imploravano di concedergli ancora un po’ di tempo per restituirgli il denaro — confermò Margherita.
— Cari signori temo che questi due omicidi rimarranno impuniti — sentenziò padre Gregorio. — Bartolo, che ha osato uccidere un suo fratello, Jacopo, è stato a sua volta punito da altri suoi fratelli che purtroppo a quest’ora saranno già lontani. — Si rivolse poi a Isabella, che continuava a fissare il cadavere di Bartolo.
— Mi dispiace figliola, ma temo che dovrai rimandare il matrimonio. Almeno per un anno dovrai restare in lutto per la morte del tuo patrigno come si conviene nelle famiglie…
— Che cosa? Un anno? — Manfredi sembrava sconvolto. — Mi dispiace, ma in questo caso ritiro la mia proposta di matrimonio.
***
Alla fine se ne erano andati tutti.
Erano state chiamate le guardie che dopo aver ascoltato come si erano svolti i fatti dalla voce di padre Gregorio non avevano potuto fare altro che portare via il cadavere di Bartolo.
Margherita e Isabella erano rimaste sole. Sedute al tavolo ancora imbandito per il banchetto fissavano il vuoto davanti a loro.
La prima a parlare fu Isabella.
— Margherita perché hai ucciso il nostro patrigno?
La ragazza la fissò sorpresa.
— Perché pensi che sia stata io?
— Perché le mie scarpe hanno la suola sporca di sangue.
— Allora sei stata tu a ucciderlo.
Isabella sospirò. — Quando le ho messe questa mattina erano già sporche e ieri sera ti avevo detto che mi andavano strette. Sono sicura che te le sarai messe per allargarmele come facevi quando ero piccola. Il tuo piede è di poco più grande del mio.
Margherita girò la testa e riprese a fissare il vuoto.
Dopo qualche secondo confessò l’omicidio alla sorella.
— Perché adesso? — domandò Isabella.
— Perché voleva cedere la casa. Ho trovato l’atto nella sua camera quando sono andata a prendere le tovaglie della mamma.
— E allora? Questa casa cade a pezzi. Potevi venire a stare con me dopo che mi ero sposata.
— Non è per la casa... — Margherita si alzò e prese la sorella per mano: — Vieni. È tempo che ti presenti i fantasmi che ti fanno tanto paura.
Salirono al piano di sopra e poi ancora più in alto fino in soffitta. Margherita estrasse la chiave da una tasca e aprì la porta.
Isabella rimase a bocca aperta: — Ma… ma sono le botti di papà?
Davanti alle due ragazze c’erano tre file di botti perfettamente allineate, ognuna composta da cinque botti ciascuna di grandezza diversa e posizionate in ordine decrescente. Dovevano essere di legni differenti perché le doghe avevano delle sfumature di colore leggermente diverso.
— Esatto. Sono piene di aceto invecchiato e quello più vecchio ha almeno… vediamo siamo nel 1610… trent’anni.
— Vuoi dire che sotto il nostro tetto c’è sempre stata una piccola acetaia?
— Papà aveva spostato qui queste botti dall’acetaia principale perché doveva fare dei lavori per ingrandirla, ma poi ha notato che il processo di acetificazione procedeva bene anche qui e queste non le ha mai più riportate indietro. Guarda… — Margherita indicò la batteria più vicina a loro. — Questa è la batteria Isabella. Papà l’ha avviata l’anno in cui sei nata tu.
Isabella aveva gli occhi lucidi.
— È questo aceto che ci ha permesso di vivere dignitosamente anche dopo che Jacopo, il nostro patrigno, ha perso tutto.
Isabella tirò su con il naso.
— Chi si è preso cura di questo aceto dopo la morte di papà?
— È stata la mamma, ma non ha mai voluto dire niente a Jacopo, aveva capito che alla prima occasione si sarebbe giocato pure queste botti e allora… del lavoro di nostro padre non sarebbe rimasto più niente.
— E dopo la morte della mamma?
— Sono io a occuparmene. Salgo qui di nascosto, spesso di notte, a controllare le botti, ad accertarmi che non si sia formata della muffa, che passi abbastanza aria, ma allo stesso tempo non ci sia troppo vento e una volta l’anno, d’inverno, prelevo una piccola quantità di questo nettare dalle botticelle più piccole per venderlo. Poi, le riporto al livello precedente travasandole con del liquido preso dalla botte immediatamente precedente e procedo così a ritroso come ho visto fare tante volte a nostro padre quando ero piccola. Allora mi sembrava un gioco tanto buffo: prendi dalla seconda e riempi la prima, prendi dalla terza e riempi la seconda e così via. Insomma, sono io il fantasma che non ti fa dormire di notte — disse Margherita sorridendo.
— Ma per mantenere queste batterie avrai bisogno di vino nuovo ogni anno. Dove lo prendi?
— Di mosto d’uva cotto per l’esattezza, sorellina, che serve a rincalzare ogni anno la botte più grande. Per un paio di anni me l’ha regalato Tommaso, il nostro padrino di battesimo, che ha un vitigno d’uva Trebbiana proprio come papà. Adesso mi posso permettere di pagarglielo. Non è mai stato un problema farlo venire a casa con un paio di barili di mosto cotto e portarli fin quassù visto che Jacopo era sempre fuori con i suoi compari di gioco. Caso mai il problema eri tu — e strizzò l’occhio alla sorella, — dovevo trovarti qualche commissione da fare che ti tenesse lontana da casa abbastanza a lungo.
— Potevi anche dirmelo — la rimproverò Isabella.
— Presto lo avrei fatto. Come puoi vedere non potevo permettere che Jacopo mi separasse da queste botti. Non potevo abbandonare l’aceto balsamico di mamma e papà. Ti voglio svelare un segreto… — Margherita si spostò davanti alla sorella e le prese le mani. — Presto rimetterò in piedi l’acetaia e riavrò anche i vigneti di papà. Non desidero fare altro nella mia vita che continuare la produzione di questo balsamo che diventa tanto più prelibato quanto più invecchia e…
— Ma Margherita… il nostro patrigno ha venduto il vigneto a quello che doveva diventare mio marito.
— Lo so, infatti ero contenta che tu sposassi proprio lui. Saremmo tornati in possesso del vigneto e dell’acetaia, ma forse è meglio così.
— E allora come pensi di fare?
— Sai già che è molto indebitato con un signore che nessuno conosce, che gli ha prestato del denaro e che ha preteso come garanzia proprio quel vigneto e quell’acetaia.
— E allora?
— E allora… quel signore sono io.
— Tu? Tu gli hai prestato dei soldi? Ma dove li hai presi? Non possiamo permetterci nemmeno un asino.
Margherita indicò le botti con un ampio gesto della mano.
— Te l’ho detto che ogni anno vendo una piccola quantità di aceto prelevata da ciascuna batteria. Essendo così invecchiato me lo pagano molto bene.
— Margherita questo vestito non me l’ha comprato la mamma, vero? Me l’hai comprato tu?
La sorella annuì con la testa. Poi si abbracciarono in silenzio.
La prima a staccarsi fu Isabella.
— Torno di sotto. Abbiamo un matrimonio da annullare e un funerale da organizzare.
— Isabella?
— Sì, Margherita?
— Perché hai ammazzato Bartolo?
La ragazza si voltò sorpresa.
— Non negare. La corda che aveva intorno al collo aveva un doppio nodo, identico a quello che hai fatto al nastro della mamma che porti tra i capelli.
Isabella sorrise e dovette ammettere di aver commesso anche lei un piccolo errore.
— Hai ragione quando dici che ero troppo piccola e non mi posso ricordare tante cose della mamma, ma una cosa me la ricordo bene. La mamma ammalata a letto, io che per giocare mi nascondo sotto il suo letto e… e lei con un filo di voce che domanda al nostro patrigno se Bartolo aveva accettato l’acetaia in pegno per prestargli i soldi che servivano a comprare le medicine...