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numero collana


Nella mente cominciavano ad allargarsi i dubbi, ad assumere forma, diventare consistenti.
Non era mai un buon segnale.

Aprile 2025

316

 9788868105945

17,00

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Sinossi

Dopo aver lasciato il suo lavoro come perpetua nella chiesa di San Simone, Mimì spera di trovare pace tra le montagne veronesi, gestendo un residence di proprietà del celebre pianista Antonio Carlini. Ma la quiete dura poco. Durante una passeggiata, un’esplosione squarcia il silenzio e il corpo senza vita di una giovane le precipita accanto: è una vecchia conoscenza, l’ex direttrice del coro parrocchiale. Le note stonate di questa faccenda sono troppe, e Mimì vorrebbe fare finta di niente, continuando a godersi la tanto desiderata quiete. Ma non sempre si può scegliere: è l’indagine che si insinua nella sua vita, senza chiedere il permesso.

L'autore

Primo capitolo

Lunedì 18 settembre 2023
L’odore del prato falciato: questo le mancava. Il primo ricordo andò a quando era stata una settimana in montagna con i nonni, nel paese di Corbiolo, in provincia di Verona. Era uscita al mattino presto con suo nonno Ernesto: la sera precedente era piovuto e sarebbe stato facile trovare le chiocciole o i bogoni, come li chiamava lui. Poi, nonna Lucia le avrebbe spurgate, lasciandole dentro una pentola coperta da un retino per qualche giorno; infine, mettendole in acqua bollente, le avrebbe ammazzate e quindi cucinate con la ricetta segreta. Di questa, Mimì sapeva soltanto che usava l’aglio e il burro: tutto il resto le è sempre rimasto sconosciuto.
Il primo a trovarne una fu proprio il nonno: era grossa quanto un sasso. Poi ne trovò un’altra e proseguì a raccoglierne una decina. Pareva che conoscesse ogni nascondiglio, anfratto, foglia sotto la quale si celava il bogone. Ne trovò una anche lei, forse perché il nonno aveva finto di non vederla. Ne trovò un’altra; alla fine della mattinata il bottino era misero: ne raccolse appena cinque.
Proseguirono la camminata nei prati. Il sole già alto aveva asciugato in fretta l’erba e il contadino stava tagliandola con la falce. Un albero di ciliegie svettava solitario ai bordi del campo.
— Su, vai a prenderne un po’.
Mimì si arrampicò sulla pianta, raggiunse il punto di giunzione dei rami e si fermò a raccogliere le prime ciliegie.
— Tutto lì? Tuo cugino sale molto più in alto.
Mimì strinse i pugni.
— Ora ti faccio vedere!
Cominciò a salire con l’agilità di una scimmia e raggiunse il ramo più alto. Il nonno non sembrava preoccupato. Del resto lui, quando aveva fatto il militare, durante le esercitazioni si tuffava da altezze di cinque metri.
— Io salivo su rampe altissime e dovevo buttarmi. Se non lo facevo il sergente mi spingeva — disse anche in quell’occasione.
Era stata la prima volta che aveva indossato una piccola salopette di jeans, un capo d’abbigliamento dal quale non si sarebbe mai staccata, e riempì la tasca centrale di frutti maturi. Dall’alto del ciliegio, trovata la posizione comoda, Mimì si incantò a osservare il panorama, il contadino che muoveva la falce, alcune mucche solitarie nel campo, le cime dei campanili lontane. Soprattutto annusò l’aria.
— Ha un buon odore questo campo — disse al nonno che la invitava a scendere.

Ora, mentre camminava lungo via Battisti, per tornare al paese di Fosse, ripensava a quel profumo e a quell’albero. Se ne ricordava quando giungeva a quel punto: alla sua sinistra c’era un ciliegio solitario mentre a destra, poco più avanti, stava una casa che aveva visto tempi migliori. Gli scuri erano sbiaditi dal sole e dalle intemperie, il cancello di legno all’entrata era sbilenco. Eppure, doveva essere abitata: dal camino saliva un filo sottile di fumo e nel giardino trascurato erano appesi dei panni ad asciugare.
“Chissà chi ci abita. Se potessi verrei a viverci io, la comprerei, ma per avere i soldi sufficienti dovrei lavorare tutta la vita per la famiglia Carlini e i suoi discendenti.”
Avrebbe potuto scavalcare la staccionata che limitava il campo, arrampicarsi sull’albero come da bambina e riempire la tasca della salopette di ciliegie. Ci pensava ogni volta e concludeva allo stesso modo: “Non sono più una bambina. Se lo facessi ora, sembrerei maleducata e irrispettosa della proprietà altrui. Però i rami che si sporgono sulla strada appartengono a tutti, così come i loro frutti.
Allungò il braccio, rovistò tra le foglie, ciliegie non ce n’erano: ormai era settembre. Chiuse gli occhi e ripensò a quelle che aveva mangiato con il nonno. Avvertì un rumore provenire dalla casa e d’istinto nascose la mano dietro la schiena, anche se non stringeva nulla. Riprese a camminare e dopo appena pochi passi sentì un boato. Cadde a terra, si coprì la nuca con le mani, qualcosa le passò vicino e quando tutto sembrava finito sollevò lo sguardo, giusto in tempo per vedere un termosifone con una strana coda volare e arrestarsi sul bordo della strada, contro la staccionata. Si sollevò sulle braccia e guardò a destra: mezza facciata della casa era sparita. Quello che doveva essere stato un soggiorno era visibile, somigliava all’interno di una casetta delle bambole. Poi guardò a sinistra e capì che quella cosa attaccata al termosifone non era un telo messo ad asciugare. Era una donna, aggrappata agli elementi del calorifero.

L’odore dei calcinacci: anche questo era un ricordo pungente. Avrà avuto cinque anni quando nonno Ernesto le fece vedere la stanza a cui aveva tolto le malte umide e vecchie e scavato le nuove tracce sulle pareti. Aveva qualche mese in più e il nonno le mostrò la stanza finita, ristrutturata, con le malte ancora fresche.
— Questa è la tua camera — le aveva detto.
— Ma io ce l’ho la mia cameretta.
— È tua per quando verrai a trovarmi.
La usò per poco tempo, giusto in una sola occasione perché dopo due anni il nonno morì e la nonna concluse la sua corsa in solitaria, in una casa di riposo.
Sollevandosi sulle braccia, si chiese perché certe memorie riaffiorassero proprio ora, in quella tragica situazione. Si portò la mano alla bocca per rimuovere la polvere e, nel ritirarla, notò che era coperta di bianco con alcune striature rosse. Una goccia di sangue, tonda come un chicco d’uva, scese lungo la curvatura del naso e piombò a terra, su un calcinaccio. Appoggiò un palmo sulla fronte, aspettandosi il peggio, invece vide solo un’altra piccola striatura. Non era la testa a farle male, era la schiena: provò ad alzarsi in piedi e non ci riuscì. Si trascinò fino a quella strana composizione che stava a un paio di metri da lei, la donna con il termosifone.
“Un po’ più in qua e sarei stata colpita in pieno.”
Trascinandosi a carponi le arrivò vicino.
— Signora! Signora! Sta bene?
A fatica la raggiunse.
— Ehi! Mi sente? — disse sfiorandola.
Le toccò la spalla e si accorse che la donna abbracciata al termosifone era in realtà agganciata con una cintura di cuoio, ben stretta all’altezza della carotide. Tentò di allentare la cinghia, la fibbia era scivolata tra gli elementi e non riusciva a tirarla fuori.
— Signora, resista, adesso la libero!
Le scostò i capelli dal viso: la donna aveva gli occhi spalancati e la lingua penzolava all’infuori, lunga, molle, violacea, quasi come una limaccia, quelle che il nonno le aveva spiegato essere le vere lumache.
Distolse lo sguardo, le sfuggì un urlo. Era dovuto a un duplice motivo: non pensava che le lingue potessero essere così lunghe e diventare color melanzana; ancora meno se si trattava della lingua di Petra, per qualche mese direttrice del coro della chiesa di San Simone. Che ci faceva lì, a trenta chilometri di distanza?
Il cumulo di pensieri venne sovrastato da una sirena. Poco dopo sentì delle mani intorno alle spalle, voci che le parlavano. Mimì sorrise, biascicò due parole, gesticolò e svenne.
Riprese conoscenza all’interno di un’ambulanza. Alla sua sinistra una ragazza regolava la flebo, sulla destra un uomo le misurava la pressione.
— Ciao. Come ti senti? — disse quest’ultimo. Non ottenendo risposta proseguì.
— Stai tranquilla, non hai niente di rotto, solo una forte emozione. Stiamo andando all’ospedale per alcuni controlli. Mi dici il tuo nome?
Mimì continuò a roteare gli occhi.
“Sì, sono viva, sono all’interno di un’ambulanza, devo muovermi.”
— Riesci a rispondere? Come ti chiami?
— Chiamatemi Mimì, Mimì Costa.
— Perfetto, Mimì. Quanti anni hai?
— Non si chiede l’età a una donna — rispose con un sorriso, — comunque sono trentasei.
— Considerata l’ironia, penso che sia tutto a posto. Allora Mimì, ti riassumo cosa è successo. È esplosa una casa, quella lungo la stradina bianca nella quale stavi camminando. Ricordi dove eri prima del nostro arrivo?
— Sì, davanti a una donna agganciata a un termosifone. Aveva una cintura al collo.
— Esatto, ricordi correttamente e anche questo è un buon segno. Di più non ne sappiamo e non ci interessa, quello che ci preme è che tu stia bene. Ti faremo alcuni esami di controllo.
— Non riuscivo a sollevarmi, avevo un dolore alla schiena.
— Strano. Non c’era materiale grosso vicino a te, a parte il termosifone e la donna. Forse sei stata colpita di striscio. Poi verificheremo, però non c’è nulla di rotto. Ti stiamo somministrando una soluzione di Ringer lattato. Serve per aiutare la reidratazione e a mantenere l’equilibrio dei sali minerali nel corpo. È una soluzione che usiamo spesso in situazioni come questa.
— E la donna?
Bastò un semplice sguardo per capire, averne la certezza: sì, era morta.
Poi parlò la ragazza.
— Mimì, che lavoro fai? Dobbiamo avvisare qualcuno?
— Lavoro? Facevo la perpetua, fino al mese scorso — Alzò il braccio per troncare subito eventuali domande e proseguì. — Suona meglio di sacrestana. Tutti mi chiamavano perpetua in realtà ero una tuttofare, mal retribuita. Da un paio di mesi gestisco un residence a Fosse.
— C’è qualcuno che ti sta aspettando?
— Macché, sono single, non mi aspetta nessuno e clienti non ce ne sono.
— Nemmeno un gatto? — continuò la ragazza, giusto per sdrammatizzare.
— Nemmeno un gatto. Oh… cazzo. Elisa!
— Elisa? Chi è?
— Mia figlia, accidenti! Adesso è a scuola.
— Allora è inutile preoccuparla. A che ora esce?
— Alle tredici
— Farà in tempo
Mimì sorrise.
— Farò in tempo, sì, è ancora mattina. Dove stiamo andando, in quale ospedale?
— Il più vicino, a Negrar.
Silenzio.
— Poi mi riportate indietro, vero?