—Sì, la vendetta è un’emozione violenta, a volte travolgente.
Il viso di Schenone è deformato da una piega sarcastica della bocca.
— Ma mi dica, quanti intorno a quell’uomo possono aver provato questo sentimento. Quanti sarebbero stati pronti a tradurlo in atto? — conclude con un riso amaro e sprezzante.
Il viso di Schenone è deformato da una piega sarcastica della bocca.
— Ma mi dica, quanti intorno a quell’uomo possono aver provato questo sentimento. Quanti sarebbero stati pronti a tradurlo in atto? — conclude con un riso amaro e sprezzante.
Sinossi
Giacomo Risso è indubbiamente un bell’uomo. Il suo portamento eretto e distinto gli accordano un’ allure aristocratica e un fascino irresistibile. È il celebre neurochirurgo del famoso ospedale Gaslini di Genova.
Quando il suo corpo senza vita, orribilmente straziato, viene trovato sulla spiaggia della baia di Cartaromana a Ischia, scatta l’inchiesta investigativa che svela la vera natura di quell’uomo dalla fama finora irreprensibile.
L’acuta intelligenza si accompagna a una sfrenata ambizione, arroganza e slealtà in ambito professionale e a un’accentuata attitudine libertina, con la conseguenza di durevoli risentimenti e rancori nel contesto delle relazioni interpersonali.
Intorno a lui ruotano personaggi ambigui, tutti possibili colpevoli. Ognuno di loro è probabilmente coinvolto in modo oscuro e inconfessabile.
Il vice commissario Cozzolino conduce l’indagine, muovendosi tra Ischia e Napoli, dove si è consumato il delitto, e Genova, dove potrà conoscere come è vissuto Risso per capire come è morto. Procede caparbiamente tra false piste e indizi ingannevoli. Seguendo un’ipotesi che sembra assurda anche a lui, arriverà, grazie anche al fortunoso ritrovamento dell’arma del delitto, a identificare l’assassino, scoprendo una realtà insospettabile e sconvolgente.
Primo capitolo
Dagli scogli si levano pesanti grosse nuvole nere, striate dal sangue del sole che rinnova ogni giorno il perenne rito della sua morte nel mare, trascinando con sé verso l’abisso, all’orizzonte, altre strisce sanguigne sparse sull’acqua che si fa di piombo con l’avanzare della sera.
L’uomo è seduto su una panchina del porticciolo di Mergellina. Accanto a lui una grossa scatola; la tiene stretta con una mano che vi lascia un’impronta rugginosa. Guarda con espressione attonita davanti a sé. Sulla camicia candida sembrano riflettersi le strie scarlatte che solcano le acque del golfo al tramonto. Pare pietrificato; è attraversato dagli sguardi fugaci dei passanti. Nessuno si ferma, nessuno sembra interessarsi a lui. Solo un bambino gli chiede cosa fa lì fermo sulla panchina e che cosa c’è in quella scatola.
L’uomo si riscuote, si alza e si avvia verso il vicino ospedale.
Dall’altra parte del golfo, di fronte a Mergellina, un ragazzo dodicenne porta avanti una scommessa con i coetanei del suo gruppo. Deve arrivare da San Michele d’Ischia alla spiaggia di Cartaromana fino alla riva, in una notte senza luce.
A Ischia una leggenda dice che nelle notti buie escono dal mare i fantasmi degli antichi abitanti di Aenaria, la cittadina romana sommersa sotto il tratto di mare chiuso tra il castello Aragonese e gli scogli di S. Anna. Quegli abitanti, sprofondati nelle acque molti secoli fa, si replicano di notte e ritornano in vita come le meduse immortali che alla fine del loro ciclo vitale scendono sul fondo del mare e si riproducono, trasformandosi in polipi e continuano a vivere. Riemergono e riprendono a lavorare i metalli come facevano in passato e sulla spiaggia si sente il rumore del loro sferragliare. L’eco arriva fino al cimitero che sta subito dopo il paese di San Michele.
Carlucciello (il diminutivo fa torto alla statura notevole e alla costituzione fisica già imponente del ragazzo quasi adolescente) è orgoglioso e non può avere paura: il capo è lui, nonostante alcuni del gruppo abbiano qualche anno in più. Supera fieramente il cimitero e va avanti sul sentiero lastricato che porta alla scala di pietra lavica che scende alla spiaggia. Gli viene incontro un’ombra scura; passa veloce in direzione opposta alla sua, sfiorandolo appena, nello stretto del sentiero.
Non può essere un fantasma! Si fa coraggio. Dicono che quelli lì, i fantasmi, si sentono, ma non si vedono, perciò… e va avanti. Gli altri mi stanno guardando e mi prenderanno per il c…naso se mi fermo.
Non può mostrarsi spaventato, tanto meno fare retromarcia. Non si volta a guardarli. Va avanti. Deve scendere i cento scalini. Sa che se li conta a uno a uno l’incantesimo scompare. Conta: 1,2,3… Non c’è nessuno, ma il buio l’inviluppa. Lo specchio d’acqua davanti a lui è un gorgo pronto a inghiottirlo. Va avanti e continua a contare: 6,7,8… Un gemito soffocato proviene dall’oscurità profonda. È il lamento dei morti sotto il mare, pensa. Il gemito è suo, di paura, ma va avanti. 10,11,12… I numeri gli escono dalla gola serrata, mentre la saliva non va né su né giù. Nuvole bianche di fumo si alzano dalla sabbia poco distante dal mare davanti a lui. Si spostano, compaiono, scompaiono, sospinte dal vento che s’è levato da est; si sente circondato. Sono gli spiriti di quei morti si dice, rabbrividendo, ma poi ricorda che suo padre gli aveva spiegato che sono getti caldi di acqua e gas del sottosuolo, le fumarole. Sono il respiro buono dell’isola, gli aveva detto. Si rassicura e conta: 10, 20, 30...e scende ancora. Dal mare, dalla parte del castello Aragonese, provengono rumori sordi, un borbottio che non sfuggono alla sensibilità acuita dalla paura. Gli abitanti di Aenaria stanno brontolando perché sono entrato nel territorio che di notte deve essere solo loro, pensa. Ma no. Sono le altre fumarole che stanno sotto all’acqua del mare. I getti di gas salgono dai fondali e quando arrivano al pelo dell’acqua, fanno bolle, ‘a vullutura’, gli aveva raccontato suo padre, Sono proprio come il pippiare d’ ‘o rrau della nonna. Ne sente quasi il profumo rassicurante. E continua a scendere. 60,70... 100.
È sulla spiaggia. — Ce l’ho fatta — non riesce a trattenere il grido di trionfo che però esce smorzato dalla gola, ancora contratta. Non c’è nessuno dietro di lui. I rumori non li sente più. Potrà arrivare fino alla riva e raccogliere la sabbia bagnata nel sacchetto che s’è portato dietro; sarà la prova che ha condotto a termine la coraggiosa impresa. Avanza ringalluzzito verso la distesa scura che lo aspetta con lo sciabordio delle onde e dei gabbiani. Un sorriso gli distende le labbra e gli si allenta il groppo alla gola. Ha vinto la sfida: è il capo indiscusso, ora più che mai.
All’improvviso il suo urlo lacera il denso buio della notte. Gli amici si disperdono verso il paese, come stormi d’uccelli al rumore dello sparo. In cima alla scala resta Ntunuccio, il suo fedele compagno di avventure. Porta le piccole mani, che prima coprivano le efelidi fiorenti sul naso e sulle gote, intorno alla bocca e gli sbraita di correre su da lui. — Non c’è nessun fantasma — lo incoraggia. — Non aver paura, ti aspetto. — Non se la sente di andargli incontro.
Carlucciello si lancia verso gli scalini, pallido di terrore e si arrampica a sbalzi precipitosi. Una volta in cima, con voce rotta gli dice: — C’è un morto laggiù! È un morto vero, non è un fantasma.
Questa sera la luna è coperta dalle grandi nuvole a onde che sembrano riflettere la superficie del mare in tempesta. L’oscurità l’accoglie complice, come la coperta che la nascondeva alla severità dei genitori. La figura scura, confusa con la notte, punta gli occhi nel buio. Il sangue trascina fuori da quel corpo la vita e la trasfonde nel suo. Ora è lei che domina, è padrona dell’esistenza sua e di lui. Guarda al di sopra delle mani insanguinate la faccia dell’uomo. Rivede la faccia che lui aveva nel momento della morte: è un’esperienza totalizzante.
Si esalta al pensiero che nessuno sa che cosa ha fatto e che cosa avrebbe fatto dopo.
S’immerge nell’ombra e aspetta.