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numero collana


Quel che si vede all’esterno, alla luce, non è la verità.
La verità è ciò che accade dentro, nell’intimo profondo,
dove la luce non arriva mai, ma è la realtà apparente
a fare le persone normali.

ottobre 2025

232

978-88-6810-649-2

16,00

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Sinossi

L’Appennino è all’apparenza un luogo tranquillo, ma non a misura di tutti, come si accorgerà presto il maresciallo Alberto Cobelli, trasferitosi qui per motivi familiari da Milano.
Come tutti i luoghi tranquilli, ha un lato nascosto che all’improvviso, una notte a cui faranno seguito molteplici eventi, si trasformerà in un caso feroce e complicato che terrà con il fiato sospeso tutta la comunità del luogo. Sarà lo stesso Cobelli insieme ai colleghi Biagio Vallesi, Eleonora Battisti e al dottor Sperti, a cercare di risolverlo con un’indagine che si svolgerà nelle località turistiche di interesse naturalistico-culturale e sulle sponde degli splendidi laghi che caratterizzano queste montagne .
La normalità, spesso, può nascondere ferite profonde, può celare traumi accaduti anni prima e che a volte sfociano nella follia omicida, divenendo un meccanismo di difesa, una catarsi.
A volte i mostri non sono altro che bambini spaventati a cui è stato negato il diritto alla spensieratezza.

L'autrice

Federica Tinti

Primo capitolo

Il merlo ha perso il becco

L’aria è fresca in questi luoghi, avvolti da un silenzio irreale e incastonati tra le montagne. Passa solo qualche viandante seguito da fantasmi erranti di un passato dimenticato. Il vento si insinua tra le foglie, scuote gli alberi e ulula di notte facendo eco ai lupi.
Vecchie storie, leggende e antiche superstizioni vivono dietro a un muro, lentamente salgono le scale di pietra e scrutano da dietro uno scuro sbattuto all’improvviso dal vento.
Una chiamata da un telefono pubblico di un piccolo bar di paese. Poche parole per segnalare una festa non autorizzata.
Il passo umano disturba questo silenzio con il calpestio di foglie secche e cocci di vecchi oggetti consumati dal tempo; il cigolio di porte aperte per cercare un ambiente ideale per i propri scopi. Del resto, l’uomo non può stare con le mani in mano: è creativo, a seconda di come è stato educato, di cosa ha studiato e soprattutto da cosa i suoi occhi hanno visto o sentito. Ognuno lo è a modo suo, nelle piccole stranezze e nell’agire secondo il suo modo di essere.
Le mani spostano, i piedi calpestano, la mente sistema un disegno perfetto, premeditato e progettato. Tutto è pronto e il grande spettacolo ora può iniziare. Una volta alzato il sipario, il copione può srotolarsi attraverso quella che chiamiamo realtà. Realtà sono anche quei corpi bianco perla, brillanti al sole e scuri la notte.
In un paese ai margini del bosco, in una casa poco illuminata, solo una piccola lucerna fioca trapela da dietro uno scuro socchiuso e serve a illuminare una scena. Un muro grigio nella notte si tinge di rosso. In un’oscurità nera senza luna. Il silenzio, il buio della notte tutto intorno. Poi un boato squarcia il silenzio accompagnato da un’esplosione di colori che illuminano il cielo.
Gli echi rimbombano nella stretta valle rimbalzando sulle montagne che sovrastano il lago. Lo spettacolo è appena iniziato e gli occhi sono rivolti al cielo per guardare i fuochi che colorano la notte e disegnano i contorni delle montagne intorno. Si riflettono nell’acqua scura del lago, sfumature tra i giochi di colori.
Con attesa ed entusiasmo, questo appuntamento si rinnova e gli spettatori, come ogni anno, sono arrivati numerosi. Un’occasione per passare qualche giorno lontani dal caldo della città e, per chi vive qui, di festeggiare l’estate e incontrare un po’ di vita visto che questi luoghi sono solitamente poco popolati.
I fuochi si avviano al gran finale. Come sempre i più belli sono stati tenuti per ultimi; cuori e diamanti sfuggenti nel cielo come lampadari alla corte di Luigi XVI lentamente si spengono e l’attimo dopo il buio. Poi tre colpi sparati in aria e l’ultimo rimbombo fortissimo copre un grido che squarcia la notte. Il giorno arriverà e non sarà più lo stesso Appennino.
Un lungo applauso risuona sulle rive del lago avvolto ora dal buio tra i commenti compiaciuti del numeroso pubblico. Come sempre è la notte più suggestiva dell’estate.
Luci di torce a pile risalgono il bosco per non perdere il sentiero e ritornare sulla strada principale. I motori delle auto sono accesi e le auto si immettono nella lunga coda che illumina la collina per il rientro a casa dopo il Ferragosto appena finito. La gente sorride e copre con plaid i bambini addormentati sui sedili posteriori, stanchi dalla lunga giornata di festa. Un sorso d’acqua nell’attesa che la coda riparta tra sorrisi e baci.
C’è chi rimette a posto sacchetti della spazzatura con i resti delle grigliate e chi preferisce attendere lo smaltire del traffico ammirando il lago e ascoltando lo sciabordio dell’acqua increspata da un leggero vento che si sta alzando. I camerieri del ristorante sparecchiano e riapparecchiano per il giorno successivo, stanchi dalla giornata piena. Soddisfatti e sudati si affrettano nell’ultimo lavoro per liberarsi presto e andare a divertirsi in discoteca dove la festa continua. Basta attraversare un versante e la notte è ancora giovane.


Il traffico lungo la valle si sta diradando e torna il silenzio e la pace. Nessuno nota una sagoma che si allontana lungo un viottolo. Inosservata, risale il bosco. Tra qualche ora riprenderà la macchina per rientrare a casa dopo la meraviglia di una passeggiata notturna. La notte, quassù, è magica. Il bosco si anima di vita e rumori, profumi ed emozioni.
Le tradizioni sono dure a morire, si pensa portino bene, ci si crede sempre. Spesso sono presagio di buone notizie e anche Ferragosto può essere una sorta di rinnovamento, un nuovo inizio.
— Sarina ti sono piaciuti i fuochi?
— Sì mamma, moltissimo.
— Hai sonno tesoro, si vede dagli occhietti...
— Un po’...
— Tra poco siamo arrivati così potrai andare a letto.
— Sì — dice la bambina con la voce assonnata.
Un rumore interrompe il dialogo.
— Alberto, è il tuo cerca persone?
— Credo di sì, puoi guardarci tu?
— Sara mi passi la borsa per favore?
— Eccola.
— Grazie.
— Che numero è?
— 0534 6745...
— Ah, è il comando. Passami il telefono. Cosa vorranno a quest’ora?
— Sarina? Dormi?
— Un po’ mamma, è successo qualcosa?
— Ora papà richiama e sente.
— Mmh... ho sonno.
— Biagio, mi hai cercato?
— Sì, maresciallo ero io, senta può venire qui? Sembra essere una notte movimentata...
— Cos’è successo? Hanno rubato una gallina?
Ride allegramente, Alberto Cobelli. Dall’altra parte, silenzio.
— Ok, battutaccia. Ma non mi sembra un posto dove succedano molte cose. Porto a casa mia figlia e mia moglie e arrivo.
— Ok, mi trova qui ad aspettarla. Con un caffè.


Alberto Cobelli, maresciallo dei Carabinieri, è stato trasferito da qualche mese al comando di Porretta Terme, piccolo paese dell’Appennino bolognese. Luana Manservisi, sua moglie, invece è di Milano, dove vivevano. Si sono trasferiti per stare vicino alla madre di lui che è rimasta sola e ha problemi di salute.
Sara, la loro bambina, ha otto anni e tra poche settimane inizierà la quarta elementare, le sarà facile ambientarsi. Più difficile per Luana, abituata alla città. La nuova vita le offre ben poco ma sta cercando un lavoro per tenersi occupata. Anche perché la situazione familiare è complicata e sta cercando di mettercela tutta sperando che la situazione si assesti.
Alberto è un bel tipo alto, moro dagli occhi verdi, impeccabile nel suo lavoro. Lavoro scelto quando era piccolo, figlio di un padre Questore, morto qualche anno prima. Ama la sua famiglia e sua madre. Ha anche sperato, venendo in Appennino, in questi luoghi immersi nella tranquillità, non troppo frequentati e con poca delinquenza, di avere più tempo da dedicare alla famiglia.


— Tesoro, non fare tardi e stai attento, ok? — dice Luana abbracciando Alberto e dandogli un sonoro bacio.
— Non ti preoccupare. Andate a letto, vi raggiungerò appena finito. — Le sorride, ricambiando il bacio.
Luana prende in braccio Sara, già addormentata e avvolta nel panno di Hello Kitty. Chiude lo sportello e si avvia al cancello della nuova casa. Indipendente, con il giardino, in una piccola frazione vicina al centro del paese.
La macchina riparte, lasciandola alla tenue luce dei lampioni del giardino.
I fari spariscono dietro la curva e Luana sente l’eco del motore che prende velocità, giù per la discesa.
Entra in casa, accende le luci del salone. Si accorge sempre di più che la sua bimba inizia a crescere. E a pesare. Sara intanto si è svegliata.
— Siamo a casa?
— Sì Sarina, ora ti metto a letto.
— Voglio dormire con te.
— Vicine vicine, amorino mio.