
numero collana
Due irriducibili pensionati, un saldatore comunista e un tipografo democristiano, con la complicità di un altro vecchietto assai poco riservato e di un giovinastro elvetico incline al panteismo, mettono a segno un furto strampalato, facendo sparire un fucile mitragliatore giocattolo dal museo di Peppone e Don Camillo, in quel di Brescello. Il giorno seguente il disastroso colpo, il sindaco di Arzanello Trebbia viene freddato a colpi di mitra. Qual è il collegamento? Possibile che quei quattro deficienti abbiano un ruolo nella morte del loro primo cittadino?

2020
120
978-88-6810-430-6
12,00
Si
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Sinossi
Tre stravaganti vecchietti piacentini, con l’aiuto di un giovane anarchico elvetico, mettono a segno il furto più strampalato degli ultimi tempi: il museo di Brescello, dedicato a Peppone e Don Camillo, viene alleggerito di un innocuo fucile mitragliatore giocattolo. Neppure il tempo di far ritorno in collina ed ecco che il simulacro bellico sparisce e per i quattro furfanti iniziano i guai. Il giorno seguente, infatti, l’apprezzato sindaco di Arzanello Trebbia viene assassinato a colpi di mitragliatrice. La comica si trasforma ben presto in tragedia e ad indagare sull’accaduto interviene il comandante dei carabinieri di Bobbio: la dottoressa Di Martino. Possibile che i quattro sprovveduti deficienti e il loro patetico furto abbiano un ruolo nell’omicidio del loro primo cittadino? La trama di questo bizzarro racconto si dipana lungo le rive del Trebbia, metafora del fiume dell’esistenza e della storia, testimone della vita di santi, demoni, infami ed eroi. E forse la verità, ricercata ostinatamente dalla dottoressa Di Martino, parte da lontano, nel tempo e nello spazio, giungendo lentamente a valle … seguendo il corso di quel fiume che non si può arginare ma che è possibile osservare soltanto col giusto distacco, con occhi ripieni di nostalgia e compassione. Il comandante dei carabinieri di Bobbio dovrà sostare, meditabonda, sulla passerella di un leggendario ponte fra passato e presente, per intuire finalmente ciò che si nasconde dietro il movente di un crimine altrimenti inspiegabile.
Primo capitolo
Prologo
Il vecchio camper mansardato si era lasciato alle spalle la Liguria. Superata Genova aveva affrontato la salita di malavoglia, borbottando e scricchiolando allegramente. Vetusto, malandato e rattoppato, insomma, tutt’altro che una furia. Il verde delle colline piacentine ora accarezzava i fianchi e il soffitto dell’automezzo.
Alta Val Trebbia. Faggi, querce e castagni. Disagio meccanico. Frescura e ombra. Profumo di sottobosco. “Aghi di pino, silenzio e funghi”. Il camper esitava. Meglio il mare. Strade assai più luminose. Più sicure. E quel camper, ahimè, …non trasportava soltanto amore.
Il giovane al volante canticchiava con disinvoltura le canzoni di una radio birichina, azzeccando una parola su cinque. La ragazza al suo fianco sorrideva divertita ma si sforzava di rimanere concentrata. Sfilò la matita mangiucchiata, trattenuta dalla folta capigliatura per sottolineare un passaggio interessante. Quando la carreggiata lo permetteva il giovane sbirciava quei piedi nudi che irrequieti spolveravano il cruscotto scolorito.
— Guarda avanti… e smettila di cantare. Il tuo italiano è pietoso!
— Io ti amo! E… dimmi, cosa stai leggendo?
— Cormac McCarthy …
— Ah, sì? Hai smesso con Steinbeck? Hai deciso di disintossicarti?
— Non fare lo scemo.
— Grande democrazia, comunque, quella degli Stati Uniti! So che non condividi tuttavia…
— Tuttavia cosa?
— No, niente… stavo pensando a “parrucca”.
— A chi?!
— A lui, quello con i capelli che sembrano posticci, color pannocchia
— Non sono i suoi tratti estetici ad impensierirmi! O a impressionarmi. Tanto meno a distrarmi da ciò che quel tipo rappresenta.
— È il popolo ad eleggere il presidente degli Stati Uniti d’America! Non dimenticarlo.
— Già… ma sono i proprietari di quell’America che tu apprezzi senza riserve che gli suggeriscono cosa deve e non deve fare! Uno vale l’altro… che differenza fa?
— Sei più infiammabile della benzina. Non ti accorgi che ti prendo in giro? Che mi diverto a provocarti?
— Non dovresti… questo non è uno scherzo…
Improvvisamente il giovane pigiò il pedale del freno con tutte le sue forze. Un’interminabile frazione di secondo. Il tempo dilatato dalla chimica dei suoi riflessi giovani e pronti. Poi il camper smise finalmente di ondeggiare. Una lattina di birra vuota continuava a rotolare sul pavimento, alle spalle dei ragazzi francesi. Là dietro, oltre al consueto disordine, si aggiungeva adesso il disastro di stoviglie e scatolame straripati a causa della brusca frenata. Indumenti d’ogni sorta abbandonati sulla dinette, un’infradito solitaria da una parte, la borsa termica priva di coperchio dall’altra. Odore di muffa, sigarette e vino rosso. Un po’ di sporcizia. Anarchia dappertutto.
— Caspita… tutto bene? Ti sei fatta male?
— Ho perso la matita. Accidenti! Che diavolo era?! Sei riuscito a vederlo bene?
— Un dannato cagnaccio italiano, direi.
— Tu dici? Non ci sono case nei paraggi. Tu vedi fattorie, rustici o aziende agricole? Non era un cane domestico, te lo garantisco, e neppure un randagio. Si trattava di un lupo.
— Stai dicendo che ci sono i lupi? Da queste parti?
— Ci sono sempre stati.
— Be’, la cosa non mi entusiasma. Affatto. Non mi va l’idea di bivaccare nei dintorni. Vada per i cinghiali, ma i lupi...
— Hai paura?
— Tu, no?
— Mi conosci. Se siamo qui è perché non ho paura di niente. Sono i lupi mannari, casomai, che devono temere la mia indole. Sono loro che devono aver paura… di me… Ma ora basta! Rimetti in moto.
— Agli ordini, comandante Che Guevara.
— Sta zitto! E piuttosto… alza il volume. Ora voglio ascoltare Janis. Il suo blues. E faresti meglio a prestare orecchio anche tu. Perché, ti avverto… se un giorno ti comporterai come Bobby McGhee… ti ammazzo. Capito?!
La fedeltà del suono era pressoché approssimativa. L’autoradio e il vecchio camper, neanche a dirlo, potevano vantare di essere coetanei. I bassi risultavano alquanto distorti. Gli acuti pungenti e isterici. Tuttavia la suggestione di quel blues rimaneva struggente e intatta. La ragazza francese distese le gambe, puntellando di nuovo i piedi scalzi contro il cruscotto poco pulito. Chiuse gli occhi.
Janis Joplin cantava, piangeva, miagolava, rideva e ruggiva, con tutta se stessa. Dapprima delicatamente. Nostalgia, compassione, languore. Dopodiché a squarciagola. “Un giorno, nei pressi di Salinas”… ancora Steinbeck. Sogni infranti, denuncia sociale, amara consapevolezza. Un filo di speranza? Senza quella, dove si va a parare? Chissà… Verso la fine del brano tuttavia qualcosa parve scadere e guastarsi per sempre. Si intuiva fra le altre una nota sinistra. La malinconia sembrava cedere alla disperazione. E da lì, il passo verso l’autodistruzione sembrava dannatamente breve.
A un tratto il volume dello stereo fu sovrastato dal rumore molesto di un motore imballato. Con una manovra a dir poco azzardata un’auto di grossa cilindrata sorpassò il camper che arrancava, strombazzando a tutto spiano. Dal finestrino fuoriuscì l’avambraccio di uno screanzato, impegnato in un gestaccio frettoloso.
I boschi perenni dell’Appenino non si scomposero e neanche si offesero. Seguitarono a sfilare scuri e impenetrabili, accompagnando lentamente il vecchio catorcio. Nonostante la stagione, a quell’ora del mattino, l’aria rimaneva frizzante. Che spettacolo, che armonia, che musica tutt’intorno. Castagneti e faggete. Rare praterie. Pascoli magri, invasi da arnica, cardi e carline. E ancora, qua e là, minuscoli fiori selvatici di esseri viventi capaci di resistere agli inverni più duri e spietati.
La ragazza trasse un profondo sospiro e dentro di sé formulò un cattivo pensiero. E ora, senza indugio, si va ad incominciare.
Si dia inizio alla pantomima...